Perché i leoni non attaccano i veicoli da safari?

Vi siete mai chiesti perché i leoni, considerati i Re del mondo animale, non attaccano quasi mai i veicoli da safari? Scopriamolo insieme

Perchè i leoni non attaccano quasi mai i veicoli da safari? Perché nella maggior parte dei casi non li considerano una minaccia oppure sono abituati alla loro presenza, ma diverse storie però narrano che i cacciatori africani dovevano in passato mantenersi a distanza dai branchi, poiché mal sopportavano qualsiasi tipologia d’interferenza umana.

Eppure ogni giorno centinaia di safari vengono svolti nelle diverse savane africane, senza che i leoni attacchino le vetture o l’uomo. Come mai si osserva questa differenza fra le antiche leggende e la realtà attuale che vede i leoni protagonisti di un vero e proprio mercato turistico che vale milioni?

I leoni non attaccano i veicoli da safari, perché?

Le ragioni per cui i leoni attualmente attaccano molto di rado l’uomo (22 attacchi in media all’anno, principalmente nelle aree più isolate) sono diverse: un tempo erano presenti un maggior numero di leoni, una condizione che rendeva molto più comuni incontri e incidenti.

Oggi invece, come accertato dalla IUCN, questi carnivori stanno subendo un forte calo demografico e si stanno via via abituando alla presenza massiccia dell’uomo, seppur non gradiscano molto la sua compagnia.

Leone in Africa, suo habitat naturale
Leone in Africa, suo habitat naturale – Pexels @Pixabay – Socialboost.it

 

In generale, i leoni non attaccano i veicoli dei safari perché per loro sarebbe troppo gravoso energeticamente farlo e perché spesso non li percepiscono come una diretta minaccia alla propria sopravvivenza.

Nel caso in cui una vettura mantenga infatti le distanze, è più probabile che i leoni provino ad attaccare un essere umano intento ad attraversare la savana a piedi, invece che balzare su un’autovettura.

Dobbiamo sempre rammentare che un leone mantiene sempre un certo istinto predatorio e territoriale di un animale selvatico e può considerare un singolo essere umano come una potenziale minaccia o una preda, ma alla vista e all’odore delle auto e dei fuoristrada può anche scambiarli per esseri inanimati o inoffensivi.

Le uniche volte in cui un leone riesce infatti a provare curiosità nei confronti delle vetture di un safari sono quelle in cui non ha mai visto una vettura o quando un essere umano sporge un braccio o la testa fuori dal finestrino (magari per ottenere una fotografia), dando modo al predatore di capire che all’interno di quella scatola di metallo c’è qualcosa meritevole di attenzione.

Inoltre, dove ormai i safari in auto sono all’ordine del giorno, anche i leoni hanno imparato e si sono abituati alla presenza delle vetture, che considerano ormai inoffensive, quando non interferiscono con la loro vita.

Il tragitto di molti safari è quai sempre fisso: infatti gli organizzatori e gli autisti delle vetture hanno battuto le stesse strade migliaia di volte per poter consentire ai turisti di osservare le tipiche specie africane.

È quindi normale che osservando i fuoristrada ogni giorno i leoni si siano abituati alla loro presenza, senza provare più alcun interesse o timore.

Se all’inizio poteva esserci infatti un poco di curiosità da parte loro, nell’osservare l’arrivo di strani veicoli con dentro degli intrusi, questa curiosità dopo anni verrà meno, tanto che la maggioranza dei leoni adulti non nutrono alcun interesse verso queste vetture. Per loro sono principalmente degli oggetti, che si avvicinano alle strade da loro battute.

In alcune occasioni, gli organizzatori del safari propongono ai turisti di veder sfamare i leoni, soprattutto nelle riserve private, e in queste situazioni, assieme ai visitatori, giungono nella savana dei camioncini con uno spazio di carico ribaltabile, pieno di leccornie.

Il fatto che gli organizzatori dei safari possano decidere di alimentare i leoni, per radunarli in favore delle foto, è un grave problema, soprattutto per quei gruppi selvatici che abitano le riserve naturali più grandi dell’Africa.

La possibilità che i leoni associano l’arrivo delle auto dei safari al cibo sta abbassando infatti il livello di rischio che questi animali corrono a causa dei confronti con l’uomo.

Non a caso quindi alcuni paesi hanno cominciato a vietare categoricamente alle compagnie turistiche di portare con sé del cibo utile per attrarre i predatori.

Questa politica è valida anche nel tentativo di combattere il bracconaggio, visto che uno dei metodi più utilizzati dai bracconieri per abbattere questi possenti carnivori è quello di attendere il loro arrivo, dopo avergli fornito una preda legata ad un palo o una carcassa fresca.

Come reagiscono ai turisti e come si sono abituati nel tempo

I leoni provano diffidenza nei confronti delle vetture dei safari, finché ovviamente i loro occupanti non compiono dei gesti che riescono ad attrarli o a spaventarli.

Quando infatti una persona si sporge un po’ troppo fuori dal finestrino o quando gli occupanti dei fuoristrada cominciano a produrre fin troppo rumore, per i gusti dei leoni, quest’ultimi rispondono principalmente tramite due reazioni.

Quali possono essere le reazioni dei leoni alle vetture utilizzate per i safari?
Quali possono essere le reazioni dei leoni alle vetture utilizzate per i safari? – https://it.quora.com/ – Socialboost.it

 

La prima è l’allontanamento veloce dalle vetture, perché non vogliono immischiarsi in degli scontri di cui non sono sicuri di poter affrontare.

Il secondo caso è l’avvicinamento alle stesse non tanto perché affamatio desiderosi di respingere l’intruso, ma a causa della loro curiosità, che li induce a indagare quello che non conoscono.

Bisogna anche ricordare che nei casi in cui i leoni si sentono minacciati, questi possono cominciare a difendersi ed è per questo se talvolta mordono le ruote o balzano sui tettucci delle auto.

I leoni sono infatti molto protettivi e nel caso in cui un gruppo improvvisamente li minaccia, reagiscono prontamente e attivano il loro comportamento predatorio.

Soprattutto qualora una vettura dovesse mettere a rischio i cuccioli nel tentativo maldestro di scattare delle foto, i leoni possono rispondere rapidamente, mettendosi fra i cuccioli e la vettura o attaccando direttamente quello che considerando un aggressore.

Per questa serie di ragioni i maggiori esperti di safari consigliano ai turisti di non fare molto rumore dentro la vettura, di comprare macchine fotografiche silenziose e che possiedono dei potenti teleobiettivi, così che sia possibile scattare delle foto rimanendo al sicuro, all’interno dell’abitacolo.

Nel caso in cui una vettura o una persona abbia superato un certo limite, per esempio avvicinandosi un po’ troppo in direzione di un leone, conviene solitamente mantenere lo sguardo sugli occhi del leone, per fargli capire che lo state guardando, e indietreggiare lentamente.

Dandogli le spalle, si offrono infatti più opportunità all’animale di aggredirvi e non riuscireste a tenerlo sotto controllo. I leoni inoltre raramente affrontano una potenziale preda frontalmente.

Importante è poi non mettersi a correre, neppure quando siete in macchina. La corsa infatti stimola il comportamento predatorio di molte specie, che per istinto potrebbero cominciare a inseguirvi.

Nel caso in cui foste a piedi e vi siete messi a correre, per paura, imprudenza o altro, non c’è molto che possiate fare, visto che il leone è capace di correre più veloce di voi e più a lungo, ma c’è una soluzione: se c’è un albero arrampicatevi!

I leoni infatti, a differenza dei leopardi, non si arrampicano molto bene sugli alberi e odiano stare ore in attesa che scendiate. Se siete fortunati, potreste anche trovarvi vicino ad un fiume e potreste scegliere di tuffarvi in acqua per distanziare i predatori.

Tuttavia, ricordatevi di stare attenti: le acque africane sono molto pericolose, visto che sono il territorio naturale degli ippopotami e dei coccodrilli.

I primi safari cominciarono a diffondersi in Africa durante il secondo periodo coloniale, a metà Ottocento, ovvero quando i grandi imperi europei, appartenuti ai re d’Inghilterra, Olanda, Francia e Belgio, iniziarono a spartirsi il territorio africano.

In un primo momento i safari erano attività esclusive dei nobili o dei ricchi imprenditori, che decisero di concedersi una vacanza o una battuta di caccia in Africa, nel tentativo di esplorare la fauna esotica.

Con l’incremento però dell’arrivo degli sbarchi dei coloni e dei turisti europei, i safari cominciarono a differenziarsi dalle classiche battute di caccia e le principali compagnie turistiche cominciarono a far osservare delle regole, valide ancora oggi.

Attualmente ci sono tre differenti tipi di safari: il safari classico, diurno e a bordo di vetture, il safari notturno, che cerca d’immergere il visitatore in una prospettiva ancora più esotica e distaccata dalla quotidianità cittadina e il “safari a piedi”, noto anche come walking safari, frequente soprattutto in paesi come il Madagascar, la Tanzania o l’Uganda.

Con l’aumentare del numero di visitatori e delle opzione di viaggio offerte, le compagnie turistiche e le riserve private hanno cominciato ad individuare delle mete, che potessero essere rappresentativi della savana africana come della sua fauna.

Così son sorte una serie di orrori e di storture che hanno devastato l’ambiente africano in parte della sua superficie, come la possibilità di guidare in mezzo ai rinoceronti  – che ha altamente esposto a rischio sia i turisti che gli stessi erbivori – o la possibilità di dar da mangiare ai carnivori selvatici.

Va da sé che per svolgere queste attività gli animali devono essere presenti in un ambiente più o meno controllato, al momento del passaggio dei turisti. Per questa ragione è stato interesse degli stessi operatori turistici abituare gli animali selvatici alla nostra presenza e a quella delle vetture, così da non rischiare delle aggressioni accidentali.

Sono stati molti gli studi che hanno cercato di approfondire il rapporto molto sensibile fra le esigenze degli organizzatori dei safari e la conservazione delle specie selvatiche: già ad inizio anni ’90 Ralf Buckley, della Griffith University, ragionava sugli impatti ambientali delle attività ricreative nei parchi e nelle riserve. E non sempre gli atteggiamenti dei turisti si sono dimostrati produttivi per la conservazione delle specie africane e la gestione stessa dei parchi.

I leoni, come tante altre specie che è possibile vedere nei safari, si sono dovuti quindi adattare nel tempo all’intrusione della nostra specie e seppur non riconoscono le vetture come minacce, soffrono spesso di stress quando vengono visitati giornalmente da flotte di turisti.

In un articolo del 2009, due ricercatori esaminarono il comportamento e i livelli di stress di un gruppo di leoni in Sud Africa e scoprirono che la maggioranza di essi mal sopportava l’essere costantemente bersagliati dai flash delle macchine fotografiche o dallo sguardo dei turisti. 

“Abbiamo misurato il numero di respiri al minuto come indicatore di stress e abbiamo scoperto che questo aumentava in presenza dei visitatori – spiegavano nel loro abstract Matt W. Hayward e Gina J. Hayward. – I leoni sopportano stress e un costo energetico considerevole per far parte dei safari. Alcune popolazioni di leoni potrebbero dover affrontare questo problema in modo cronico, il che potrebbe aumentare la loro suscettibilità alle malattie riducendo la loro immunità”.

Gli ambientalisti da tempo invocano i governi africani a ridurre il numero di permessi delle compagnie che organizzano safari.

È vero che negli ultimi decenni il numero di incidenti è diminuiti e che la maggioranza delle specie presenti in Africa sembra aver accettato le strambe vetture che scarrozzano i turisti in giro.

Si è riusciti però ad ottenere questo dopo che la maggioranza delle comunità selvatiche è stata decimata, dopo che intere sezioni delle grandi riserve naturali del continente sono stati in una qualche maniera resi confortevole per i turisti.

Tutti processi che in teoria vanno contro la conservazione diretta delle specie, ma che secondo gli stessi operatori del turismo africano e i proprietari delle grandi riserve private alimentano l’economia di un territorio, che altrimenti non avrebbe molte risorse con cui proteggere la fauna.

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