Perché il Carnevale si chiama così? L’origine della parola

Andiamo alla scoperta del significato del nome di una delle feste più belle e caratteristiche dell’anno: il Carnevale

Il Carnevale: una delle feste più belle e attese dell’anno, con i bambini che non vedono l’ora di potersi travestire come i loro personaggi fantasy preferiti e di lanciare i coriandoli in giro per le città e i paesi, e con gli adulti che ne approfittano per deliziarsi con uno dei tantissimi incredibili dolci tipici di questa festività. Insomma, tutti amano il Carnevale, ma in quanti conoscono le origini della festa e il significato del suo nome? Ecco le risposte a queste domande.

Carnevale, ecco il significato della festa e del nome

Il concetto di “Carnevale” è ricco di storia e tradizione, con radici che affondano nell’antica pratica latina. Le origini del nome Carnevale presentano diverse ipotesi. Attualmente, l’etimologia più accettata deriva dal latino basso carne(m) levare, indicando i giorni che precedono la Quaresima, un periodo di digiuno nelle tradizioni cristiane. Un termine antico sinonimo, carnasciale, condivide un’origine simile: carne(m) laxare, riferendosi al divieto di consumare carne durante la Quaresima, subito dopo il Martedì grasso.

Come evidenziato dal linguista Clemente Merlo nel suo saggio “I nomi romanzi del Carnevale”, secondo questa interpretazione, il Carnevale non rappresenta tanto il godimento della festa quanto la privazione, ovvero il digiuno dalla carne richiesto durante la Quaresima. Questa spiegazione si riflette bene nella descrizione di Carla Poesio riguardo al dipinto “Lotta tra il Carnevale e la Quaresima” di Pieter Brueghel del 1559: “Ben presto la Quaresima diventò un personaggio come Carnevale. È una vecchia brutta, lunga e stecchita che col Carnevale si incontra, o meglio si scontra, perché sono completamente diversi l’uno dall’altra. Uno ama la gioia, l’altra la mestizia; uno apprezza la buona tavola, l’altra prega e si lamenta”.

Carnevale
Carnevale | Pixabay @FedericoNeri – Socialboost

Il linguista Mario Alinei ci conduce indietro nel tempo, al rito del Navigium Isidis. Il nome Carnevale avrebbe le sue radici nel carrus navalis, il carro della dea Iside, portato in processione come patrona dei navigatori su un battello a ruote, tra danze e canti della popolazione. Il culto isiaco si svolgeva nelle città marittime e fluviali il 5 marzo (navigium Isidis), all’apertura della navigazione. I rituali iniziavano all’alba: il carro, custodito durante l’inverno nel tempio, veniva portato in mare o sul fiume per celebrare la dea e inaugurare la nuova stagione della navigazione.

I più celebri Carnevali, con i loro “carri navali” allegorici, si festeggiano o si festeggiavano nelle città sul mare come Viareggio, Venezia e Rio de Janeiro, o sui grandi fiumi come Colonia e Basilea sul Reno e Roma sul Tevere. Lucio Apuleio, nelle Metamorfosi, offre una dettagliata descrizione della festa del Navigium Isidis, evidenziando l’attenzione per i travestimenti adottati durante l’evento: “Ed ecco che lentamente cominciò a sfilare la solenne processione. La aprivano alcuni riccamente travestiti secondo il voto fatto: c’era uno vestito da soldato con tanto di cinturone, un altro da cacciatore in mantellina, sandali e spiedi, un terzo, mollemente ancheggiando, tutto in ghingheri, faceva la donna: stivaletti dorati, vestito di seta, parrucca. C’era chi, armato di tutto punto, schinieri, scudo, elmo, spada, sembrava uscito allora da una scuola di gladiatori; e non mancava chi s’era vestito da magistrato, con i fasci e la porpora e chi con mantello, bastone, sandali, scodella di legno e una barba da caprone, faceva il filosofo, due, poi, portavano delle canne di varia lunghezza, con vischio e ami, a raffigurare rispettivamente il cacciatore e il pescatore”.

È chiaro fin qui che l’origine del termine Carnevale rappresenta solo l’inizio di un complesso percorso all’interno della dimensione storico-sociale di questa festività. Un esempio notevole è l’analisi condotta da Michail Bachtin nella sua famosa opera “L’opera di Rabelais e la cultura popolare“, in cui identifica nel Carnevale la massima espressione della ritualità popolare. Lo considera uno spettacolo estremamente complesso e polimorfo che, pur avendo radici comuni tra i popoli, si manifesta in variazioni significative a seconda dei contesti geografici, delle mentalità e delle epoche.

La radice comune di questa festa è rappresentata da un insieme di forme simboliche concrete che si esprimono attraverso il linguaggio, sia tramite canzoni che filastrocche. Secondo Bachtin, le voci, le risate e il linguaggio popolare sono gli strumenti principali attraverso cui avviene la rottura degli schemi convenzionali e la ribalta dell’ordine costituito.

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